29 dicembre 2006

Mani e il Manicheismo



A cura di Gherardo Gnoli
Volume I, Mani e il Manicheismo
pagg. LXXXIX - 414
Volume II,
Il mito e la dottrina. Testi copti
pagg. LXII - 350
Fondazione Lorenzo Valla - Mondadori
27 euro a volume


Mani vedeva ciò che pensava ed immaginava, e lo annunciava ai suoi, lo faceva scrivere e dipingere sulla carta. Come diceva il vangelo di Filippo, "la verità non è venuta nel mondo nuda, ma è venuta in simboli ed immagini". Secondo Mani il luminoso principio del bene aveva compiuto, ai tempi della rivelazione zoroastriana, un errore tremendo. Sconfisse il male, il principio oppposto dell'universo: ma invece di separarlo e allontanarlo da sè, lo incorporò nella propria creazione. Cosi, dopo la sconfitta, il Male rimase chiuso nel mondo del Bene, in agguato ogni notte, in ogni angolo, ai crocicchi, tentando insidiosamente le anime. Il bene non possiede né forza né potere: è dolce e mite; la sua forza consiste soltanto nell'intelligenza luminosa, che scorge da lontano le cose, le distingue e le separa. Non sconfigge il male: ma si lascia sconfiggere, ingoiare, divorare da lui, sacrificandosi alla forza della tenebra. In questo modo, il Bene intride profondamente di sé il mondo del Male, che non può fare a meno di desiderarlo, sia pure in modo impuro. Così, dopo l'apparente sconfitta, il Bene vive incarcerato nella struttura del Male. Le scintille luminose del Bene gremiscono il mondo, formando la croce di luce. La natura è imbevuta di luce: le scintille sono dovunque, nell'acqua, nella terra, e specialmente nel verde, che forma la parte più spirituale della natura. Mentre gli uomini offuscati dalla materia scorgono intorno a loro soltanto cose morte, i manichei sanno che tutte le scintille incarcerate attendono con ansia la liberazione e la redenzione. Progressivamente, attraverso un processo di purificazione e decantazione, il male viene separato ed espulso dalla creazione, e un mondo di pura luce finirà per trovarsi ricostituito.

Questa storia cosmica si ripete nel destino di ogni anima. Con la nascita l'anima cade nell'oscurità, nella quale resta prigioniera. Negli scritti manichei la caduta viene espressa con accenti dolorosi e strazianti, come in Baudelaire, Kafka e Simone Weil, questi grandi manichei della letteratura. Della luce, dove aveva vissuto alle origini, l'anima conserva un vago ricordo. Tutto, attorno a lei, è mescolanza: mescolanza impura di male e bene, di luce e tenebra. Vive chiusa nella casa oscura, dove ogni cosa è tenebra. Distratta dal luogo in cui si trova, dai suoi abitanti e usanze, cade in un profondissimo sonno: un pesante torpore, che le fa dimenticare l'identità. Ma l'anima possiede un doppio celeste: il suo specchio, la sua verità, il suo guardiano. Nel momento cruciale della vita, il doppio celeste concede all'anima la rivelazione, ricordandole da dove viene e perché è stata gettata in basso. Questa rivelazione non è amore o fede come il cristianesimo per Paolo, ma una conoscenza assoluta, una scienza di se stesso e dei misteri dell'Universo, con la quale l'anima si identifica completamente, fino a scorgere in ogni particella di sé nient'altro che conoscenza luminosa. Mani, lascia Babilonia e si sposta verso Oriente; e, dopo di lui, i missionari, i pittori ed i musicisti manichei percorreranno la palestina, l'Egitto, l'Africa settentrionale, l'Armenia, la Dalmazia, l'Italia, la Gallia, la Spagna, l'Asia Centrale e la Cina, talvolta sotto vesti taoiste e buddhiste. I missionari fanno tappa nei monasteri sparsi lungo le Vie della seta.

I manichei amano la bellezza del mondo, che intravedono specialmente in alcuni luoghi privilegiati. Amano lo splendore dei riti. Amano il bianco, le perle, le superfici bianche, le vesti candide. Amano i fiori, i profumi, la luce del sole, della luna e della via lattea. Amano i libri decorati: i colori bianco o azzurrro ultramarino, sopra i quali i pittori stendono il rosso rubino, o l'intenso verde, o l'oro, o l'azzurro dei lapislazzuli, o il rosso porpora; e amano i canti. Tutto il meraviglioso rituale manicheo è andato perduto: non conosciamo più le musiche, né le voci, né i colori degli ambienti e delle vesti, né i profumi. Abbiamo soltanto le ombre delle voci, come le parole dei bellissimi Salmi degli erranti, composti nell'Egitto di lingua Greca, verso la fine del terzo secolo che molto ricordano i salmi dell'Antico Testamento e i grandi inni zoroastriani, con il loro timbro alto e monotono, e persino gli antichi inni Egizi.