29 dicembre 2006

Kailash la montagna degli dèi


Rosa Maria Cimino
Kailash la montagna degli dèi.
Pellegrinaggio in Tibet sulle orme di Giuseppe Tucci.
De Luca Editori d'Arte
pagg 168, euro 18

Per ogni grande civiltà antica, una montagna sacra è simbolo dell'unione fra Terra e Cielo. Anche l'Universo indiano è imperniato su diverse montagne sacre; due di esse sono mitiche, il Meru, asse del mondo, e il Mandara. Una, il Kailash, "Ti-se" in tibetano, è un monte reale che si trova nel Tibet sud-occidentale, poco a nord dell'immenso e a sua volta sacro lago Manasarovar, non lontano dai confini con il Nepal e con l'India. Shiva dimora sul monte, praticando estenuanti ascesi e godendo in abbracci che durano milioni di anni, l'amore con la sua divina sposa, Parvati, figlia dell'Himalaya. Sui declini del monte è adagiata anche Alaka, la capitale di Kubera, dio delle ricchezze e devoto di Shiva, popolata da coppie di amanti semidivini.

Ascesi ed eros: cosi nell'immaginario hindu; ma il Kailash è sacro anche al jainismo, al bon e soprattutto al buddhismo. Attratti dall'intensità dei luoghi, nelle sue grotte hanno meditato monaci e santi, come Padmasambhava (VIII secolo) che introdusse il buddhismo nel Tibet o come il grande Milarepa (XI-XII secolo). "Ci sono certi luoghi nei quali Dio, qualunque sia la forma che noi immaginiamo sotto questo nome, ha impresso come segni evidenti le notazioni della sua onnipotenza; la landa alle falde del Kailash è uno di questi luoghi…" cosi scriveva Giuseppe Tucci. Il grande Orientalista Italiano, durante la spedizione nel Tibet occidentale del 1935, compì anche il pellegrinaggio tradizionale al monte sacro, che consiste nell'aggirare il Kailash in senso orario.

Lo stesso itinerario di Tucci - oltre 150 chilometri a piedi a quote variabili fra i 4.200 e i 5.700 - è stato ripercorso recentemente da un gruppo di ricercatori italiani. Della spedizione ha fatto parte Rosa Maria Cimino, autrice di un diario del viaggio, scritto in modo intenso e vivace. Dal testo e dalle immagini, molto evocative anche per la nitideza e per la saturazione dei colori che l'alta quota favorisce, si sprigiona il fascino segreto, della sacra montagna, come della commovente umanità dei fedeli che la adorano o dei monaci e dei pastori che vivono alle sue falde. Ne risulta un'acuta nostalgia: in un mondo che tende a facilitare tutto, per una vetta che impenni il corso appiattito e insensato del quotidiano, ardua, inquietante perfino nella sua inaccessibile assolutezza.