29 dicembre 2006

Pensiero d'Oriente



Giuseppe Jiso Forzani
I fiori del vuoto
Bollati Boringhieri
pagg 128, euro 13

"La cultura Occidentale ha prodotto, come proprio esito attuale, dopo secoli di progetti e di elaborazioni, un modello che ha nel dominio della tecnica fine a se stessa e nell'assenza di valori fondanti di riferimento le sue più significative caratteristiche. E proprio perché privo di riferimenti ideologici chiari, il modello si adatta a qualunque atmosfera e terreno, diventando globale: ma questa pervasività non è neutra, è contaminante. Là dove il modello si instaura, modella a sua immagine la realtà.

Il rischio è che la filosofia occidentale, prigioniera dei propri schemi e del proprio linguaggio, venga ingoiata dal buco nero che ha evocato, o al massimo produca antidoti inefficaci, come il miraggio di vecchi idoli e miti rivestiti di panni moderni. Di fronte a una situazione inedita, come quella in cui l'Occidente si trova, serve una soluzione inaudita: quando un modo di pensare sembra aver raggiunto il proprio limite, bisogna imparare a pensare in modo nuovo. Un modo nuovo di pensare non si produce riciclando i vecchi schemi mentali, si forma attraverso l'incontro con diverse prospettive. La prospettiva interculturale sembra essere l'unica ad offrire la possibilità di una soluzione nuova.

L'Oriente non ha mai esasperato né la propria ricerca ontologica né quella escatologica. Nel senso che non ha mai separato la riflessione sull'essere da quella sul non essere, né quella sul fine da quella sulla ciclicità o sulla non consequenzialità lineare di principio e fine. Invece di negare, come sembra aver fatto sin dall'inizio il pensiero filosofico greco, ogni spazio di riflessione al non essere, per concentrarsi esclusivamente sul problema dell'essere, salvo rimanere poi senza fiato di fronte al baratro del nulla, il pensiero orientale non ha mai scisso essere e non essere, considerando che ciò che è costituito tale, lo è anche in virtù di tutto ciò che non è. Anzi, è molto più facile sapere e dire ciò che non sono, piuttosto che ciò che sono. Il non essere non è l'abisso del nulla che tutto nullifica, è invece costitutivo dell'essere.

Evitando accuratamente di assolutizzare sia l'essere che il non essere, l'Oriente indica la via di mezzo che l'Occidente ha forse intravisto ma non ha mai imboccato seriamente. Via di mezzo che vanifica sia l'esasperazione ontologica sia la deriva nichilista che si rivelano, alla lunga, due facce di un'unica medaglia. Il non-io non è la negazione dell'io: è la compenetrazione di negazione e affermazione (di essere e non essere, di non e di io) come costitutiva dell'identità, non solo dell'individuo ma di ogni fenomeno. "Sono ciò che sono"-"non sono ciò che non sono"-"sono ciò che non sono" - "non sono ciò che sono": queste quattro sentenze, che noi definiremmo tautologiche (le prime due) e contraddittorie (le ultime due) sono, per il pensiero orientale, vere e non vere, singolarmente e tutte insieme, allo stesso tempo. Sono indicazioni, tracce, dita che indicano la luna. Grazie alle quali l'Oriente ha potuto riflettere sul vuoto, sul nulla, sul non essere senza restare annichilito, anzi essendone profondamente arricchito. L'Occidente ha saputo invece affermare la dignità e il valore unico irripetibile di ogni singola persona. E anche questa è una traccia, un dito teso a indicare, un'ipotesi di lavoro in cui vale la pena di impegnarsi."

Giuseppe Jiso Forzani